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I nuovi Leoni Italiani di Silicon Valley



Paolo Pontoniere

E' risaputo che Silicon Valley non sarebbe l’Eldorado che è oggi se non fosse stato anche per un gruppo nutrito di italiani che contribuirono in maniera determinante allo sviluppo di quello che—a ragione o torto–viene considerato il centro dell’innovazione tecnologica mondiale. Gente come Federico Faggin, inventore del microchip, come Enzo Torresi—creatore dell’Olivetti Advanced Technology Center e nei fatti del primo incubatore della storia— come Ezio Valdevit—rivoluzionatore dei sistemi per immagazzinare le informazioni digfitali—come Roberto Crea, il primo ricercatore a realizzare con successo la ricombinazione del genoma di un batterio per fargli produrre una proteina umana. E la lista dei nomi non si ferma qui. Include i Marini, i Zappacosta, i Libraro, i Gianola, i Ventura, i De Luca, i Righi e tanti altri.

I Leoni della Silicon Valley, li aveva definiti in un libro dal titolo omonimo–per i tipi della Guerini Editore—scritto da Fiorella Kostoris a Gianfranco Rossi. Giovani professionisti, pionieri dell’aziendalismo di frontiera e ricercatori geniali erano, riusciti con le loro invenzioni non solo ad impattare la loro industria ma anche a cambiare il corso della storiaumana. Tra la fine degli anni 50 e dei ’90 erano arrivati a ondate. Poi era diventato uno sgocciolio. Confortevoli nel loro benessere europeistico—euro forte, la moda che tirava, gli italiani avevano smesso di emigrare, particolarmente verso gli USA e nello specifico verso la costa ovest—gli italiani non erano più interessati al “Sogno californiano”. Anche la loro sfera di influenza nel tempo, come i loro quartieri, si era contratta. Maturati, ne statunitensi e non più “mangia Pasta”—come gli statunitensi per lungo tempo hanno chiamato i nostri connazionali– gli italiani di Silicon Valley stavano diventando una tribù in via di estinzione. C’erano volute la stagnazione berlusconiana, il crollo del sistema paternalistico-industriale nazionale, e la Grande Recessione perché gli Italiani si mettessero di nuovo in movimento e la costa ovest apparisse di nuovo sul radar degli emigranti nostrani con la visione, dei grandi sognatori in stile California Dream.

Oggi Silicon Valley è di nuovo meta preferita degli italiani. Ci arrivano a frotte, alla ricerca di un’azienda o di un centro di ricerca che gli dia l’opportunità di saltare lo stagno o con uno dei tanti tour ecoeducazionali alla Storia nel Futuro o Italiani di Frontiera, o con un corso di aggiornamento ad una delle tante startup school fiorite sotto la spinta della valanga di giovani che da tutto il mondo si riversano in questa regione. Per imparare come si crea un’azienda digitale di successo e come si passa da un’idea a degli introiti. Guidati non tanto dalla voglia di scappare dall’Italia ma anche da quella di crearsi una sponda sinistra: un collegamento con il mondo di opportunità (per scambi di idee, per la raccolta di capitali di ventura, per trovare partners o ricercatori) che la Silicon Valley offre a chi ci arriva con un progetto commerciale o con la voglia di migliorarsi e provarsi professionalmente.

Molti gli startupper. Si va da SetLyfe una startup che vuole cambiare la faccia del social networking trasformando ogni inquadratura fotografica in una finestra sul consumo a Glancee, una ambient location app creata da Andrea Vaccari e compagni che è stata poi acquisita da Facebook. Da Timbuktu una startup fondata da Elena Favilli e Francesca Cavallo che ha lanciato il primo rotocalco iPad per bambini a A3 Cube fondata da Emilio Billi e Antonella Rubicco e che sta cercando di portare una misura di razionalità nel mondo della memorizzazione di grandi masse di dati statistici. Da EPI-C, una startup fondata Gianlugi Franci e dalla docente universitaria Lucia Altucci,che sta cercando di ridurre radicalmente il costo degli studi clinici–e il lasso di tempo che corre tra l’inizio di una ricerca medica e l’arrivo sul mercato di un nuovo farmaco–a Pick1, un sito web che visualizza le preferenze degli utenti di una sito in tempo reale co-fondato dal veneziano Paolo Privitera. Da Watchup, una startup fondata dal napoletano Adriano Farano dopo aver ricevuto uno dei prestigiosissimi Knight Foundation Fellowship—la Kinight è la fondazione delle eccellenze giornalistiche– e che è stata indicate come il futuro del giornalisimo online da media come The Economist a AdEspresso, una agenzia online che permette di massimizzare l’investimento pubblicitario su Facebook e che è stata fondata dal binomio Carlo Forghieri e Massimo Chieruzzi.

Ma tra i nuovi leoni italiani della Valley—come li si potrebbe adesso definire—non figurano solo coloro che legano la loro storia ad una specifica avventura aziendale, ci sono anche i solisti. I cosiddetti imprenditori seriali come il cofondatore di Gild Luca Bonmasser. Nato a Massa Carrara, trentatre anni, fondatore di Coderloop, esperto di ricerca del personale (un cacciatore di teste lo definirebbero negli USA), acquisita poi da Gild, la cosidetta Goodle dei Talenti—di cui è diventato co-fondatore grazie alla creatività delle sue soluzioni ai problemi di ricerca del personale—Bonmasser non solo sta risolvendo il probelma di trovare nuovi talenti a giganti come Google e Facebook, ma sta anche rivoluzionando la Workforce science producendo metodi per appurare la competenza professionale di una persona che trascendono dai titoli di studio, e dalle raccomandazioni, e che si basano invece sull’analisi scientifica dell’impronta digitale di un candidato.

Un’altro dei ‘leoni solisti’ è Loris Degioanni. Fondatore di CACE Technologies, una startupche fu poi poi acquisita da Riverbed. Piemontese ( della Valle Stura), trasferitosi negli USA nel 2010, Degioanni a 4 anni di distanza è una celebrità. Di lui ha parlato Mario Calabresi nel libro Cosa Tiene Accese le Stelle ed è protagonista dell’autobiografia—scritta con Renzo Agasso—Ho Conquistato l’America, dove racconta come un software che aveva creato al Politecnico di Torino da studente, una volta arrivato negli USA gli fosse servito a diventare milionario e a risolvere per sempre i suoi problemi economici e quelli di un gruppo d’una ventina di programmatori che aveva fatto arrivare dall’Italia quando aveva scoperto che i software engineer californianai preferiscono lavorare per Google, Facebook o Yahoo piuttosto che per la piccola azienda d’un emigrante europeo.

Storia da globetrotter invece quella dell’albisolese Serena Cameirano. Ritenuta una delle maggiori menti hi-tech italiane, la Cameirano è partita dall’Italia nel 2003 ed è atterrata nella Silicon Valley un paio di anni fa dopo essere stata in Irlanda dove ha studiato computer science al Trinity College di Dublino, da dove passa alla Ludwig-Maximillians Universitat di Monaco, poi uno stage alla Microsoft di Redmon, e il ritorno a Dublino. Nemmno un anno e riparte per un praticantado al CERN di Ginevra—dove si familiarizza con la fisica delle particele—da qui un salto a Londra e due anni fa la grande avventura americana alla Salesforce di Marke Benioff, dove adesso codifica e corregge le bug che emrgono nei software della compagnia californiana.

Non mancano poi i figli d’arte. Questo è il caso di Marco Zappacosta, creatore di Thumbtack una startup che collega il mondo degli artigiani e dei piccoli professionisti con il grande pubblico e che dopo aver ricevuto un finanziamento di 100 milioni di dollari da Google adesso è valutata ad 800 milioni di dollari. Marco è figlio di Pierlugi Zappacosta e Enirca D’ettorre, fondatori di Logitech e di Digital Persona, due delle ditte Italiane di Silicon Valley di maggior successo.

Nuove presenze si registrano anche sul versante delle organizzazioni nate con l’intento specifico di facilitare lo scambio di talenti e la formazione di partenership tra aziende della Silicon Valley e compagnie italiane. Organizzazioni come Mind the Bridge, che fondata daun italiano di Google—Marco Marinucci—quest’anno s’è vista asegnare dalla Commissione Europea la responsabilità di coordinare l’iniziativa europea per lo sviluppo delle startup o come M31, un incubatore di stratup e acceleratore di impresa con sede in Italia e nella Silicon Valley, che si ripromette non solo di scorpire la prossima Google italiana e di aiutare la nuova tecnologia distruttiva nostrana a cambiare il mondo, ma anche di cambiare l’ecosistema innovazione italiano favorendo la crescita di una cultura imprenditoriale a tutti i livelli educativi del nostro paese. E non mancano per finire nemmeno le articolazioni regionali di questa rinascita italiana, come per esempio l’iniziativa lanciata da Unite the Two Bays, un progetto promosso da un gruppo transnazionale di operatori culturali ed economici, istituzioni pubbliche e private su ambedue i versanti dell’oceano teso a favorie la crescita di legami stabili tra la Silicon Valley, Napoli e la Regione Campania.

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